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che possono aiutare a delineare la storia
Storia e tradizione
"Nella sua
semplicità, il cesto è una delle massime espressioni della capacità
elaborativa della mente umana. L'arte dell'intreccio è l'acquisizione
tecnica più antica e più diffusa della terra (...) L'intuizione del cesto,
sicuramente, nasce dall'osservazione di fenomeni naturali, quali il
fitto intreccio della vegetazione nelle boscaglie, le tane degli
animali, i nidi degli uccelli ecc. All'imitazione è seguita la
sperimentazione, la ripetizione e infine l'acquisizione tecnica." (Diana
Poidimani, La cesteria, un'arte millenaria, pag. 5)
La cesteria nasce prima della tessitura e della ceramica circa 11.000 anni fa con i primi agricoltori.
Alcuni ritrovamenti chi
mostrano i primi vasi costituiti da un cesto ricoperto di terra cruda.
Anche i primi contenitori a prova d'acqua eremo costituiti da oggetti
intrecciati; alcune tribù di nativi americani spalmavano resina di pino
all'interno di un cesto per renderlo impermeabile.
Per i popoli legati alla
terra (dal neolitico fino ai contadini odierni) i manufatti intrecciati
erano veri e propri attrezzi: cesti per la semina e la raccolta, per il
trasporto di legna, fieno, paglia o concime, panieri per conservazione
del cibo, nasse per pescare, trappole per passerotti, pannelli per
l'edilizia, fino ad arrivare a carri intrecciati, capanni di cannuccia
palustre, barche in giunco intrecciato ecc.
"Il cesto, dunque, non solo
nasce con l'uomo ma lo emancipa sugli altri esseri viventi della terra e
lo riappacifica alla natura ostile che lo circonda." (Diana Poidimani, La cesteria, un'arte millenaria, pag. 6)
Le tracce nel linguaggio
Anche se non ce ne
accorgiamo, l'intreccio è un elemento molto rilevante (almeno come
icona) nello sfondo del nostro immaginario collettivo e del nostro
vivere quotidiano... Basta dire che il simbolo dell'Italia è una donna che
tiene una cornucopia (cesto a forma di cono ricurvo). Ma molti altri
simboli ed archetipi sono arrivati fino a noi, e tracce evidenti
dell'attività degli intrecci sono presenti anche nel linguaggio.
"Il termine cesto deriva dal latino cista, che a sua volta viene dal greco ciste, di antichissima origine preinoeuropea. Per gli antichi romani, il termine cista, come per noi il più attuale cesta,
era estensivo e comprendeva tutta una serie di ricettacoli, ove si
tenevano le cose più disparate; il nome specifico di ognuno di loro
poteva essere legato alla sua forma, ai materiali di cui era fatto o al
tipo di oggetto che soleva contenere. Nel caso si trattasse di denaro,
ad esempio, il cesto era chiamato fiscus (da cui il termine italiano fisco che indica l'erario pubblico). Il suo diminutivo fisica (o fiscella)
era un contenitore di cesteria molle per raccogliere frutta e per il
trasporto delle olive o dell'uva al macino; inoltre indicava una
musoliera per animali e anche il cestello dove far scolare il siero alla
ricotta o far seccare il formaggio. In italiano il termine fiscella indica, nelle regioni del centro sud, lo stesso tipo di oggetto, avente le medesime funzioni. (...)
Il calathus, corrispondente all'ellenico kalathos,
era un cestello o panierino intrecciato per porvi fiori, lana ecc. Per i
Greci era il cesto del culto della dea Demetra e per i Romani della dea
Minerva; aveva forma conica e veniva usato per la vendemmia e la
mietitura. Poteva contenere anche fiori, frutta, semi, e con molta
probabilità è la cornucopia che si è tramandata fino a noi. (...)
Il canistrum, in italiano canestro, dal greco Kanastron, probabilmente da "canna", era usato per contenere pane e frutta. (...)
Dallo sparto, materiale della famiglia delle graminacee che dà cesteria molle, prende forse il nome la sporta (da cui il diminutivo latino sportula) che, sia come significato, sia come uso, è il medesimo di quello attuale." (Diana Poidimani, La cesteria, un'arte millenaria, pag. 7,8)
Forme dei Cesti
Le forme dei cesti sono
sempre adattabili sia per misura che per disegno. I cesti tradizionali
hanno di solito delle forme e proporzioni abbastanza precise (larghezza
del fondo, delle pareti o del manico). Se li osservassimo da vicino con
l'occhio del designer ci accorgeremmo dell'armonia delle forme, delle
proporzioni "auree" che si ritrovano, che le curve sono parti di curve
catenarie o cicloidi. Se si pensa che questi manufatti vengono fatti a
mano libera, quasi sempre senza stampi, anche da persone poco più che
analfabeti, tutto questo è straordinario e rileva la capacità della
mente umana di "vedere" queste proporzioni anche senza calcolarle.
Potremmo paragonare un cesto ad una composizione classica di Mozart o Chopin...
Intrecciando si ripercorrono
cerchi, spirali, cornici, forme che di per sè hanno una certa armonia e
coerenza interna di cui beneficia anche il dilettante che si cimenta in
quest'arte.
Materiali e luoghi
Dalle alture alpine, alle
paludi salmastre, dai boschi alle zone semi-desertiche i materiali
cambiano, e l'uomo si è da sempre adattato al clima e alla vegetazione
reperibile in loco. Possiamo dividere la cesteria a seconda del
materiale utilizzato.
Abbiamo la :
Cesteria con lamine di legno (di castagno, di nocciolo, di canna comune ecc.)
Cesteria con verghe (di salice, di olmo, di ulivo ecc.)
Cesteria semi-rigida o molle (paglia, asfodelo, giunco, mais, di tifa, di palma ecc.)
I materiali della cesteria (come
frutta e verdura commestibili) si sono sempre spostati con i popoli.
Dove si è impiantato castagno le persone hanno cominciato ad
intrecciarlo. Anche nel caso di speci invasive, i cestai si sono
adattati ad inserirle fra i materiali utilizzabili come per esempio
l'amorfa fruticosa nella pianura padana.
Dagli anni '50 in poi si sono diffusi materiali d'importazione come il midollino (trafilato di Ratan dal sud est asiatico), la rafia (corteccia di una liana del Madagascar), cordino cinese per impagliare le sedie, altri prodotti a base di carta o plastiche.
Si possono ricordare alcune storie italiane...
I cestai di Badi e Sambuca
pistoiese emigrati a San Remo per costruire scatole usa e getta di
salice e canna comune che costavano meno del cartone per imballare i
fiori che venivano spediti fino in Svezia.
Le 13 scuole di cesteria che esportavano in mezza Europa nel Friulano.
Sant'Ilario D'Enza a Reggio
Emilia dove, con i salici del fiume Enza era sorta l'attività del paese:
cesteria finissima i cui prodotti arrivarono fino alla Regina
d'Inghilterra.
Villanova di Bagnacavallo, frazione nella bassa ravennate dove tutto il paese viveva della lavorazione delle erbe palustri.
Altre storie, soprattutto del centro-sud che non conosciamo si potrebbero raccontare, invitiamo chi ne fosse a conoscenza ad inviarci materiale.